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Rendering della mostra
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L'organizzatrice Rita Auriemma
intervistata al tg del Friuli Venezia Giulia
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Il Piccolo, 23 11 2017
I fondali raccontano la storia dell’Adriatico Relitti e
opere d’arte
Il 17 dicembre sbarcherà al Salone degli Incanti una
curata esposizione sull’archeologia subacquea
di GIULIA BASSO
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Il nostro mare Adriatico è come uno scrigno, custode di
storie millenarie che aspettano soltanto d’essere
riportate in superficie. «Ci sono più relitti sul fondo
del mare rispetto alle navi che lo solcano», diceva lo
scrittore e saggista croato bosniaco Predrag Matvejevic,
grande cantore delle civiltà del Mediterraneo e degli
incroci tra i popoli che s’affacciavano sulle sue acque.
E’ispirata proprio alle sue parole e alla sua concezione
del Mediterraneo come “mare che unisce” la straordinaria
mostra che aprirà i battenti il 17 dicembre al Salone
degli Incanti, trasformandolo per cinque mesi in un
grande mare, in cui il pubblico potrà idealmente
immergersi per scoprire un’infinità di storie che per
lungo tempo, a volte secoli, a volte millenni, sono
rimaste celate sotto le acque. Storie di pace e di
guerra, di scambi e traffici commerciali, di incroci di
genti e di merci, perfino storie di pirati.
A raccontarle sarà la mostra “Nel mare dell’intimità -
L’archeologia subacquea racconta l’Adriatico”, che per
la prima volta, con un’esposizione di 2000 metri quadri,
offrirà al pubblico in una visione d’insieme relitti,
opere d’arte e oggetti della vita quotidiana, merci
destinate alla vendita e attrezzature di bordo
letteralmente ripescate dai fondali del nostro mare.
Saranno circa un migliaio i reperti in mostra, ciascuno
con la propria storia, provenienti dai numerosi
giacimenti sommersi e prestati per l’occasione da musei
italiani, croati, sloveni e montenegrini.
A collaborare a questa mostra, che è organizzata dal
Servizio di catalogazione, formazione e ricerca dell’Erpac
(Ente Regionale per il Patrimonio Culturale Fvg e
dall’assessorato alla Cultura del Comune di Trieste),
sono infatti oltre 60 istituzioni culturali italiane e
internazionali, tra le quali la Soprintendenza
Archeologia, Belle Arti e Paesaggio e il Polo Museale
regionale, con il coinvolgimento di 50 studiosi e una
fortissima presenza di reperti provenienti dalla
Croazia, che grazie anche a un accordo bilaterale fra i
due Ministeri della Cultura ha messo a disposizione
quasi la metà dei pezzi in esposizione, provenienti da
17 diversi musei. Come simbolo dell’esposizione è stato
scelto proprio un reperto croato: l’Apoxyomenos o
“Atleta di Lussino”, antica opera scultorea greca in
bronzo, databile tra il I e il II secolo dopo Cristo, di
cui a Trieste verrà esposta una copia perfetta.
L'ex Pescheria di Trieste, grazie all’allestimento
curato dall’architetto Giovanni Panizon, si trasformerà
in un paesaggio d’acqua, un fondale sommerso che
permetterà di leggere in maniera più esaustiva
l’intensità degli scambi culturali e dei traffici
commerciali, la specificità della costruzione navale
antica, la ricchezza delle infrastrutture e il dinamismo
dei paesaggi costieri, le storie degli uomini che hanno
attraversato questo mare intimo. Ad accogliere il
visitatore all’ingresso della mostra sarà
un’installazione che simula la forma e le correnti
dell’Adriatico, permettendo una visione simultanea di
ben 22 diversi modelli d’imbarcazioni che nel corso dei
secoli hanno solcato il nostro mare. Lasciatosi alle
spalle il mare, il pubblico raggiungerà uno spazio
espositivo che riproduce in negativo lo scafo di una
nave antica, nel quale saranno posizionati i reperti
archeologici marini. Saranno dieci le sezioni della
mostra, ciascuna corrispondente a un tema: Lo spazio
Adriatico, I porti e gli approdi, Le navi, Le merci, Gli
uomini, I lavori del mare, La guerra sul mare, Il mare e
il sacro, L’Adriatico delle migrazioni e La ricerca
sotto il mare.
“Nel mare dell’intimità” si pone l’ambizioso obiettivo
di raccontare la storia dell’Adriatico dall’antichità ai
nostri giorni con gli occhi dell’archeologia subacquea.
«E’ una disciplina poco nota al grande pubblico, che non
gode della giusta attenzione - afferma la curatrice
della mostra, l’archeologa Rita Auriemma, direttrice del
Servizio catalogazione, formazione e ricerca dell’Ente
Regionale per il Patrimonio Culturale del Friuli Venezia
Giulia -. Con questa mostra vogliamo far capire alla
gente cosa significa fare archeologia subacquea e
spiegare il valore di una ricerca in gran parte sommersa
e sotterranea che annoda legami antichissimi».
L’esposizione è frutto di un intenso e coordinato lavoro
di ricerca, reso possibile dai contatti e dalle
relazioni tra ricercatori dei diversi Paesi che
s’affacciano sull’Adriatico. E lungi dal rappresentare
un punto d’arrivo, mira piuttosto a incoraggiare una
riflessione legata alla tutela e alla ricerca dei beni
sommersi e a fornire un contributo in tal senso,
offrendosi come trampolino di lancio per nuove ricerche
e progetti.
E’ questo il caso, per esempio, della Iulia Felix,
imbarcazione romana del III secolo ritrovata nel 1987 a
16 metri di profondità sui fondali marini al largo di
Grado. L'imbarcazione, lunga 18 e larga 5-6 metri, è
stata rinvenuta intatta con il suo carico di 560 anfore.
In mostra a Trieste ci sarà la riproduzione della
sezione trasversale della nave di Grado, che è stata
progettata dagli archeologi e dal maestro d’ascia
Gilberto Penzo, che hanno studiato lo scafo e il carico
di questo relitto. Questa preziosa ricostruzione a
grandezza reale finita la mostra costituirà il primo
nucleo espositivo del Museo archeologico di Grado. Nella
sezione saranno stivate le anfore originali del carico,
che contenevano prodotti alimentari, principalmente
pesce e conserve ittiche, e una riproduzione della botte
che racchiudeva i frammenti di vasellame vitreo
trasportati per essere rifusi, un sistema di riciclaggio
già praticato nell’antichità perché più economico
rispetto alla produzione di vetro ex novo.
Trasportava sempre vetro, ma anche collane, candelabri,
lampadari, campane di bronzo, lingotti di piombo,
coloranti, bicchieri di cristallo e rotoli di seta
preziosa la Gagliana Grossa, o relitto di Gnalić, una
galea di mercato affondata in Croazia nel 1583 con un
carico di lusso ed estremamente variegato, che spedito
da Venezia avrebbe dovuto arrivare via mare al sultano
ottomano Murad III. A quel tempo tra la Serenissima e
l’Impero Ottomano era guerra aperta, ma nonostante le
ostilità le due potenze continuavano a intrattenere
rapporti commerciali. La nave, del peso di circa 720
tonnellate, fu fatta costruire a Venezia da Lazzaro
Mocenigo, Benedetto da Lezze e Piero Basadonna e venne
varata nel 1569. Caduta nelle mani degli Ottomani nel
luglio del 1571 presso l'isola di Saseno (Albania),
trascorse i successivi dieci anni al loro servizio,
prima di venire acquistata, nel 1581 a Costantinopoli,
dalla famiglia Gagliano. Per questa ragione, all’epoca
del naufragio, la nave portava il nome di Gagliana
Grossa.
A bloccarne la traversata e farla finire sul fondo del
mare, a sud di Zara, fu una tempesta, facilitata
dall’eccesso di carico. Ma i resti di questo naufragio,
custoditi nei fondali marini e riportati alla luce dagli
archeologi subacquei nel corso di diverse campagne
condotte dal 1967 ai giorni nostri, oggi costituiscono
una sorta di finestra sulla storia degli anni successivi
alla Battaglia di Lepanto, che nel 1571 fermò il dominio
turco nel Mediterraneo. Il carico della nave era
composto da materiale eterogeneo di produzione
artigianale, con molte merci di uso comune e con una
particolare abbondanza
di materiale vitreo, per un totale di più di 5500
oggetti. Una variegata selezione di questi reperti sarà
esposta al Salone degli Incanti. Ogni pezzo in mostra
racconterà una storia: per approfondirle una a una è
stato realizzato un accurato catalogo.
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Allestimento del modello di nave
tonda veneziana del 500 |
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La sezione che abbiamo realizzato
assieme al cantiere Casaril di Venezia con il carico di
anfore e la botte con il vetro da riciclare.
Vedi |
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Lo zoppolo |
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